Cenni Storici Medico del Lavoro
Razeo, maestro di scuola medica del IX secolo (Abu Bakr Mohammed ibn Zakaria el Rhazi, 865-925), ricordava con molta umiltà che: ”La verità in medicina non si può raggiungere; tutto ciò che si può leggere sui libri ha molto meno valore dell'esperienza di un medico che pensa e ragiona. La medicina non è facile che per gli sprovveduti; i medici seri scoprono sempre nuove difficoltà.” (Penso, 1991).
Se poi il paziente si presenta al medico con un suo bagaglio di complesse problematiche in qualche modo legate alla sua determinata attività lavorativa; se cioè è un “uomo che lavora”, una “persona che esercita un lavoro”, le difficoltà aumentano perché questa situazione evoca o lascia intendere eziologie non immediatamente evidenti e oggettivabili, ascrivibili a una realtà (quella lavorativa) di difficile lettura, in costante mutamento.
Peraltro, non è facile dare una definizione univoca di “lavoro”.
Nell'era preindustriale, un lunghissimo arco di tempo che si può collocare tra gli antichi Sumeri e la nascita dei primi opifici del Seicento-Settecento, domina una ideologia “ secondo la quale chi eroga un lavoro produttivo non è parte della società” (Vegetti, 198).
Il lavoro è inteso come un concetto a forte connotazione negativa. Non è un caso che al termine latino “labor” corrispondano termini italiani come esecuzione, opera, fatto pratico, risultato, pertinenza, impresa. Ma è curioso che tale termine, traslato nella cultura latina occidentale, su ritrovi solo nella parola “ergastolum”, inteso come il luogo in cui gli schiavi erano adibiti ai lavori forzati.
Con l'avvento dell'era industriale il concetto di “lavoro” assume un diverso significato, inteso come “ erogazione da parte dell'uomo di un a forza produttiva che al tempo stesso è trasformatrice, creatrice. Questa idea del lavoro come forza, come energia, si collega da una parte molto chiaramente a uno stile dell'epistemologia ottocentesca, centrato sui grandi concetti di forza ed energia che dominano la fisica, la termodinamica, l'elettromagnetismo, cioè le scienze traenti dell'Ottocento” (Vegetti, 1981).
Nei decenni successivi il concetto di lavoro si identifica in parte anche con un concetto di elevata socializzazione, sia perché i sempre più numerosi opifici si caratterizzano per una crescente organizzazione delle persone, sia perché, connesso al lavoro, si osserva un marcato processo di inurbamento, con crescenti e densamente abitati agglomerati residenziali nelle immediate vicinanze degli opifici stessi. Luoghi di vita e luoghi di lavoro si fondono in un unico contesto. I ritmi lavorativi determinano i ritmi di vita di chi lavora e di chi vive attorno all' “uomo che lavora”.
In termini pragmatici e nell'accezione marxiana, il lavoro è merce che il singolo offre in cambio di un salario determinato dalle leggi di mercato. In questo senso non si entra nel merito delle tipologie lavorative. L'uomo che lavora, che presta la sua opera è parte di una classe di soggetti, privi di poteri decisionali, possessori della sola capacità lavorativa e della propria famiglia (“proletario”). Un concetto di lavoro, questo, che indiscutibilmente segna molte pagine della storia contemporanea. Un concetto certamente diverso da quello di un conterraneo (non contemporaneo) di C Marx, che definisce il lavoro con il termine di “ Beruf ” (vocatio = professione, vedi Martin Lutero), che ha dato origine al termine “Berufgenossenschaft” , che identifica le potenti associazioni di categoria, ancor oggi di rilevante peso sullo scenario sociale ed economico in Germania.
Accanto a ciò non sono da tralasciare le grandi risorse economiche e intellettuali, di ricerca e di studio, riversate nello sviluppo di tecnologie un ambito lavorativo, che segnano in misura notevole soprattutto gli ultimi decenni. Al di là di approcci filosofici al concetto di lavoro, ciò che oggi colpisce in maniera impressionante, anche chi è semplicemente spettatore di tali fenomeni, è la rapidità con cui le tecnologie cambiano; talora in modo radicale, portando con sé mutamenti del pensiero e del linguaggio (e quindi della cultura), che soltanto una generazione precedente quella attuale avrebbe faticato a comprendere.
Non è certamente questa la sede per aprire una discussione sul concetto di lavoro, soprattutto nella convinzione che non possa esservi una definizione universale e univoca. Lo scopo di questi riferimenti sommari è solamente quello di sottolinearne la complessità, e la difficoltà di approccio in modo particolare per il medico (e non solamente ai tempi di Razeo!), chiamato a dare risposte esaustive ai problemi connessi con il “lavoro dell'uomo”. Ciò che emerge è la necessità di non osservare (solo) singole patologie dell'organo, ma di analizzare soprattutto un complesso di relazioni tra l'uomo e un suo determinato contesto (quello lavorativo). Questo è un fatto assodato nell'area disciplinare della “medicina del lavoro” , così chiamata (e non “medicina dei lavoratori” , proprio perché tende a focalizzare l'attenzione su un particolare ambito nel quale possono trovarsi le radici eziologiche di specifici eventi nosologici.
Da Ambrosi, Foà, Trattato di Medicina del lavoro, ed. Ambrosiana 2006.